giovedì 19 aprile 2012

The Flags of our Fhaters

Al termine della lettura del libro di James Bradley è chiaro il tentativo dell'autore di dare il maggior risalto possibile alla "eroica figura" dei marines americani impegnati nello sbarco più sanguinoso della storia.
Iwo jima (Isola dello zolfo) è una delle più piccole isole dell'oceano pacifico appartenenti al Giappone e, con il sontuoso vulcano Suribachi ricopriva, durante il secondo conflitto mondiale, un ruolo chiave  nelle importanti operazioni militari di entrambe le nazioni impegnate sul fronte oceanico. Era "il portone d'ingresso" dell'impero nipponico.
 
"Oh, what a beautiful morning,
Oh, what a beautiful day,
I've got a terrible feeling
Everything's comin' my way."
 
Chiaro spunto di svariati libri e di tre film (ultimo The flags of our Fhaters e Lettere da Iwo Jima di Steven Spielberg) la piccola isola del pacifico è stata lo scenario della maggiore carneficina della storia militare, molto peggio dello sbarco in Normandia.
Bradley, figlio di uno dei sei marines che piantarono la "Old Glory", racconta con impressionante precisione, frutto di uno studio decennale sullo sbarco e la cultura del Sol Levante, le vicende che con la morte di 600 uomini solo il primo giorno e circa 60.000 nei trentasei totali dell'assedio resero eroi nazionali sei comunissimi ragazzi appena ventenni facendoli entrare nel cuore pulsante di ogni americano "colpevoli" di aver piantato la bandiera della foto.
Le dettagliatissime e cruente vicende di quel Febbraio del 1945 raccontate da Bradley junior nel libro lasciano comunque spazio all'obiettivo reale dello scrittore che punta in modo molto netto a denunciare la guerra in ogni sua forma e variante mettendone alla luce tutti gli aspetti peggiori (gli stessi aspetti che hanno reso impossibile la vita a migliaia di marines una volta tornati in America), risaltando l'umanità disarmante degli stessi sei protagonisti del libro, dei componenti delle loro famiglie e l'audacia e l'onore dei Giapponesi.
I veri eroi di Iwo furono le anime che il Suribachi mantenne con sè ma Doc, Ira, Mike, Rene, Sousley e Harlon  rappresentati nella fotografia furono determinanti nella vittoria dell'America nel secondo conflitto mondiale.
 
"Erano ragazzi di comune virtù
Chiamati al dovere.
Fratelli e figli. Amici e vicini di casa.
E padri."
 
Nel libro viene anche smentita la leggenda che narra la falsità della foto o che comunque sia stata scattata "in posa" cosa che, come detto, oltre ad essere smentita punta anche diverse volte a sminuire l'importanza della foto stessa in quanto nessuno dei marines immortalati le ha mai dato troppa importanza definendola "casuale" e quasi "priva di importanza".
Un libro sorprendente che sicuramente provoca spesso durante la lettura forti "scosse" emotive al lettore...
Consigliatissimo.